L’UFFICIO LEGALE DELLA FEDAE – CEUQ VINCE IN COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE CONTRO L’AGENZIA DELLE ENTRATE E FA ANNULARE L’ACCERTAMENTO FISCALE NOTIFICATO AD UN DIPENDENTE DI AMBASCIATA STRANIERA CON SEDE IN ITALIA.
La Commissione Tributaria Provinciale di Roma ha accolto il ricorso proposto da un dipendente italiano dell’Ambasciata di Francia contro l’accertamento fiscale notificato dall’Agenzia delle Entrate per presunta omessa dichiarazione e omesso versamento delle imposte sul reddito da lavoro dipendente.
Sosteneva l’Agenzia delle Entrate che di qualsiasi provenienza fosse la retribuzione versata dall’Ambasciata estera al lavoratore italiano, la stessa dovesse essere assoggettata a tassazione in Italia laddove, come nel caso sottoposto ai giudici tributari, il dipendente fosse di nazionalità italiana o comunque residente in Italia.
Argomento che evidentemente non ha convinto la Commissione Tributaria Provinciale di Roma Sezione sedicesima, Presidente e Relatore, Giudice dott. Sergio Santoro, che ha accolto il ricorso patrocinato dall’Avvocato Angelo Calandrini, Responsabile dell’Ufficio legale della Fedae (Federazione Dipendenti Ambasciate Estere), Sindacato maggiormente rappresentativo per la categoria (più di 4.000 dipendenti), aderente alla Ceuq (Confederazione Europea di Unità dei Quadri).
“Finalmente i giudici tributari riconoscono le ragioni di questi lavoratori” dichiara l’Avv. Angelo Calandrini, responsabile dell’Ufficio legale FEDAE – CEUQ, che difende i dipendenti di Ambasciate e Consolati stranieri con sede nel nostro Paese.
“Gli accertamenti dell’AdE notificati a questi lavoratori dipendenti violano, tra le altre, le disposizioni previste dalle Convenzioni OCSE, nel caso di specie quella bilaterale stipulata tra Italia – Francia, per evitare le doppie imposizioni”, sottolinea il legale del sindacato. “L’amministrazione finanziaria, infatti, non ha considerato che la potestà impositiva sui redditi da lavoro dipendente del ricorrente, seppure italiano o residente in Italia, deve ritenersi sussistente per lo Stato straniero cui fa capo l’Ambasciata, Consolato o la rappresentanza diplomatica estera poiché è a questi che il lavoratore rende i servizi e la propria attività lavorativa. Pertanto la tassazione di tali retribuzioni nella specie viene assolta alla fonte dagli Stati cui appartengono tali rappresentanze straniere aventi sede in Italia, al momento del pagamento periodico della retribuzione come peraltro comprovato anche dai cedolini paga rilasciati al ricorrente da cui risulta inequivocabilmente che tale retribuzione è netta”.
Tesi difensiva accolta dalla Commissione che ha annullato l’accertamento relativo al reddito da lavoro dipendente percepito dal ricorrente per l’anno 2013.
“Occorre tra l’altro considerare” aggiunge l’avv. Calandrini “che nonostante siano lavoratori dipendenti, diversamente da tutti gli altri dipendenti pubblici e privati italiani, non soltanto subiscono l’applicazione di regole fiscali totalmente discriminatorie da parte dell’Agenzia delle Entrate che giungono a ritenere la facoltà, anziché l’obbligo per le Ambasciate datori di lavoro, di operare come sostituti d’imposta in assenza, si badi, di qualsivoglia norma di diritto interno o internazionale che stabilisca ciò, si pretende inammissibilmente che subiscano di fatto una doppia tassazione posto che il loro stipendio viene già tassato alla fonte dallo Stato dell’Ambasciata straniera.
Altro profilo di criticità rilevato dal legale riguarda il fatto che si opera prescindendo dallo statuto normativo del lavoratore dipendente e dalle regole fiscali in materia di sostituzione di imposta, dal momento che nel nostro ordinamento il versamento delle imposte in materia di reddito da lavoro dipendente, è obbligo specifico che grava sui datori di lavori non certo sui lavoratori.
A ciò si aggiunga che a questi lavoratori non viene garantita alcuna tutela giudiziaria dei propri diritti di lavoratori. Si consideri, a titolo esemplificativo, che a tali lavoratori non è in alcun modo consentito di svolgere attività sindacale, né sul luogo di lavoro né fuori dall’ambito lavorativo, in violazione dei diritti previsti e tutelati in materia dalla nostra Costituzione. Le conseguenze, in molti casi, sono state regolate in via di fatto mediante allontanamento fisico dalla sede di lavoro o smagnetizzazione dei badge di accesso al luogo di lavoro.
Per non parlare del fatto che alcune Ambasciate in Italia, tra cui l’Ambasciata dell’Iraq, non pagano le spettanze di fine rapporto (TFR) ai propri dipendenti a seguito del pensionamento, trincerandosi dietro immunità diplomatiche dall’esecuzione civile che impediscono di procedere al pignoramento di conti correnti attivi presso banche italiane sul presupposto che le somme ivi presenti sono finalizzate ad attività istituzionali.
“Tutto questo” conclude l’Avv. Calandrini “è francamente inaccettabile oltre che contrario ai valori democratici e costituzionali su cui si fonda il nostro ordinamento giuridico”.
Continueremo a batterci con determinazione per il rispetto e la tutela dei diritti di questi lavoratori.